Berlino mi sei mancata!
Altra isola altro giro podistico, dopo Favignana 2019 e Ponza 2021 approdo questa volta a Pantelleria isola vulcanica sospesa fra l’Africa e l’Europa e chiamata la Perla Nera del Mediterraneo.
Ho sempre amato il Golden Gala e la magia di quella sera tra maggio e giugno in cui la regina degli sport, sua maestà l’Atletica, accende i riflettori dello Stadio Olimpico. Arrivare un po' prima dell’inizio delle gare e spiare nello Stadio dei Marmi gli atleti che si riscaldano e mettono a punto le ultime strategie non ha eguali.
Sabato scorso gare al Paolo Rosi che a me piace continuare a chiamare Stadio delle Aquile, chissà poi perché...
Ho cominciato a frequentare Milano quando c’era ancora la nebbia, alla metà degli anni ’80.
Ho 47 anni, corro dal 2017 e il 27 marzo 2022 ho corso, nella mia città, la mia prima maratona.
Il lento declino.
Ci sono cose che ricorrono nella nostra vita, cose che ci danno conforto: il Natale, i compleanni, il rioma che non vince mai nulla, la mezza di Amburgo.
Anche quest'anno mi ritrovo sulla liena di partenza in una domenica di Giugno che sembra più essere di marzo. Sono perseguitato dalle Harley Davidson: dopo un lungo fine settimana romano gli appassionati tedeschi si sono dati appuntamento nella città anseatica per il loro raduno annuale. Il rombo delle moto ha allietato le serate del venerdì e del sabato ma in questa fresca mattinata le marmitte tacciono rispettose.
Oggi tocca alle gambe.
Partiamo e mi assesto sul ritmo che mi ero prefissato. Il clima è buono ed il sole è fortunatamente nascosto dietro i nuvolotti. Ogni tanto fa capolino ed allora sono dolori: è pur sempre giugno, anche nell'austera Amburgo.
La partecipazione della folla è come sempre calda e numerosa, specialmente nei tratti che costeggiano il porto. Mantengo il ritmo costante pur non avendo particolari punti di riferimento. Ancora non sono riuscito a trovare qualcuno che mi faccia da pacer e così sarà fino alla fine.
Come al solito qualche spettatore mi incita urlando il nome della Lazio, riconoscendo nella mia canotta un chiaro segno di appartenenza ai colori biancocelesti. In prossimità del lago lo speaker nomina il mio nome, il nome della società e quello della città direttamente al microfono.
Arrivo al chilometro sedicesimo e comincio ad accusare la fatica. Ho sete e, cosa molto rara per me, mi fermo un paio di volte per bere ai rifornimenti.
I chili di troppo e la mancanza di allenamento si fanno sentire ma anche per altri corridori la situazione non è semplice. Ne passo almeno un paio che hanno l'aria di uno a cui hanno alzato la coppa in faccia.
Percorro gli ultimi tre chilometri ad un ritmo notevolmente più lento rispetto all'inizio e chiudo al 477 posto (su circa 4000 partenti) in 1h35'18".
Due anni fa avevo chiuso in 1h33' e lo scorso anno in 1h35'.
Chiari segni di un declino. Non mi lamento però, poteva andare peggio: avrebbero potuto alzarmi la coppa in faccia.
Claudio Feliziani
In 5.000, per ricordarne 30.000, attraverso il nome di uno.
Giorgio Gaber cantava: "La Libertà non è uno spazio libero, Libertà è partecipazione". Ed è tutta qui l'essenza della corsa di Miguel: partecipare, esserci, correre; che poi, a guardare bene, è l'esatto contrario di scomparire, dissolversi, non esserci. In poche parole: Desaparecidos.
Correre è il gesto che più di ogni altro rende l'essenza della Libertà ed è attraverso esso che che ricordiamo chi, per amore di Libertà, ha perso la vita; affiancato da altri 30.000 come lui, che magari non correvano, ma per i quali la Libertà aveva un significato che andava al di là della vita stessa.
Miguel lo incontriamo ogni volta che corriamo: durante un noioso lungo o durante una estenuante ripetuta; durante quel medio che ci scioglie le gambe o durante quello sprint che ci toglie il fiato.
Miguel è il corridore che ci affianca sbuffando di fatica e quello che ci sorpassa senza affanni.
Miguel siamo noi che corriamo lungo il fiume e sopra i ponti di Roma, felici di essere liberi di farlo quando ancora oggi, nel mondo, ci sono milioni di persone che certi lussi li possono solo sognare.
Ciao Miguel, ciao Uomo Libero, ci vediamo lungo strada.
Claudio Feliziani
Amo Amburgo, è la mia seconda casa.
Oggi è anche più bella del solito: non sono abituato a vederla la domenica mattina presto, ancora addormentata. Il sole, spesso illustre assente, stamattina è sfrontato e scalda più del dovuto già alle 7.30. Il numero dei pazzoidi che hanno deciso di correre aumenta nei vagoni mano a mano che la metropolitana procede verso la stazione di St. Pauli; c'è allegria. I teutonici parlano e scherzano facendosi grasse risate. Peccato che non capisca una beata.
Ma comunque amo Amburgo. Arrivo a St. Pauli e compio tutti i miei riti propiziatori: foto sotto agli striscioni di partenza e arrivo, caffè, vasellina dapertutto e spillaggio del pettorale. Mi avvio verso le griglie sulle note di canzoni ritmate trasmesse a volume folle. Poco prima dello start un Josè Carreras locale canta l'inno nazionale e, subito dopo, il borgomastro della città sanziona l'avvio della gara agitando in aria un paio di campanacci bovini.
Nonostante questa leggera caduta di stile, continuo ad amare l'aristocratica Amburgo.
Partiamo rilassati e ci avviamo verso la Reeperbahn, tradizionalmente conosciuta per tutt'altri motivi, contenuti da due ali di folla plaudente. Il sole da tiepido si è trasformato in caldo. La gente sorride, si sbraccia davanti alle telecamere della televisione locale che riprende in diretta la corsa e, come nella migliore tradizione di tutti gli eventi di questo tipo, i corridori battono il cinque con i bimbi assiepati a bordo via.
Oggi ho deciso di non farlo per essere più concentrato, ma non è che per questo abbia smesso di amare Amburgo.
Procediamo sui verdi viali della città anseatica, costeggiando l'Alster e l'Elba. Il cielo è limpido, gli spettatori continuano ad incitare incessantemente e le gambe vanno che è un piacere. Altona, Altstadt, St. Georg, Hohenfelde, Barbek sud: i ridenti quartieri si susseguono uno via l'altro offrendo la loro ospitalità ai gagliardi podisti. Passo alla mezza perfettamente in linea con i tempi che mi sono prefissato.
Tutto sembra perfetto ed una volta di più rinnovo il mio amore per Amburgo. In effetti ora il caldo sole comincia leggermente a scartavetrare gli zebedei.
Forse ho bevuto un po' troppo e lo stomaco non ne è particolarmente felice. Le gambe, a parità di sforzo, ci mettono di più a percorrere un km, il pubblico tende ad essere un po' troppo rumoroso in questo punto del percorso e si assiepa un po' troppo in mezzo alla carreggiata, il che aumenta il rischio di inciampare. Intorno ai punti di ristoro ci sono un po' troppi bicchieri di plastica usati per terra, il che aumenta il rischio di scivolare. Le gambe cominciano a fare i soliti capricci. Sono leggermente preoccupato.
Siamo arrivati al 30mo km e Amburgo comincia a starmi lievemente sulle palle. Arriviamo nei quartieri di Winterhude, Ohldorf, Alsterdorf. Places I call home: dove vivo durante la settimana, dove guido per andare la mattina in ufficio, dove faccio normalmente la spesa. Forse il conforto dei luoghi conosciuti mi aiuterà a ritrovare il ritmo. Manco per niente. Comincio a camminicchiare per assecondare gli ululati dei quadricipiti. Cominciano le salitelle, il sole si accanisce sulla mia tenera epidermide e tutto precipita. Il tempo preventivato è andato a farsi benedire. Punto alla sopravvivenza.
Amburgo assume sinistramente le fattezze di una città del menga. Ingurgito uno schifosissimo gel energizzante, bevo intrugli carbodaitratici e ricomincio a corricchiare. All'improvviso mi metto a ridere: ma davvero l'umore di una giornata di festa può essere influenzato dal mancato arrivo di una performance? Correre è un divertimento e tale deve restare. Continuo ad alternare corsetta e camminata svelta - d'altronde mancano meno di cinque km - ma questa volta sorrido e saluto calorosamente tutte le persone che mi incitano.
Un signore sulla sessantina urla "forza Lazio Rom" dopo aver letto il nome della Prima Squadra della Capitale fieramente stampato sulla mia maglietta. Gli ultimi due km, in salita, me li mangio ('nsomma) e arrivo braccia al cielo secondo le sacre regole del maratoneta. Ululo ad un paio di tedeschi che tagliano il traguardo con me e loro mi ululano di rimando (erano ululati di gioia).
Quanto sei bella Amburgo, quanno c'è er sole.....
Mi medagliano ma non mi danno il classico domopack; d'altro canto il sole picchia come un fabbro e sarebbe un tantinello fuori luogo. Mi stravacco sulla transenna vicino al posto di pronto soccorso, sorseggiando un paio di birre analcoliche. Sembra di essere in una puntata di E.R.: ogni due minuti passano paramedici di corsa spingendo lettighe con sventurati corridori in male arnese (il caldo è davvero inusuale). Socializzo con un paio di tedeschi parlando della corsa, di Roma e di Colonia. Subito dopo incontro tre italiani che mi accolgono con un paio di bestemmie conviviali, mi apostrofano con un forza rioma dopo aver saputo la mia città di origine (nonostante avessi in chiara evidenza sulla canotta il nome della nostra Squadra) e provano a correre appresso ad una tedesca popputa ma brutta. Italiani, brava gente.
Scendo le scale della metropolitana con leggerezza, tutto sommato ho chiuso sotto le 4 ore, e mi rendo conto che non ho mai smesso e mai smetterò di amare Amburgo, la mia seconda casa.