L'aereo tocca terra leggero frenando dolcemente verso sinistra, dove riposa placido ed illuminato il terminal 2. Amburgo è bianca, esattamente come l'avevo lasciata venerdì scorso.
Ripeto meccanicamente i gesti che succedono ogni mio atterraggio nella città anseatica: corridoi, uscita, taxi, istruzioni all’autista, affossamento nel sedile posteriore, ecc...
Ma stavolta decido di far fermare l'auto all'inizio della via di casa, a 250 metri dal mio portone.
Pago, scendo, raccatto il trolley e rimango lì mentre la macchina si allontana. Nevica.
E' una neve leggera e fitta che stria di bianco le strade deserte.
Guardo la via: stretta, alberata, bianca e silenziosa. Bellissima, come al solito.
Comincio a camminare cercando di sentire i metri che piano piano scorrono sotto i miei piedi. Ne devo percorrere 250 e voglio stabilire un contatto con ciascuno di essi; voglio carpirne l'essenza.
Si sente solo il rumore del trolley che scricchiola sul selciato ricoperto di ghiaccio; la neve continua a cadere morbida e irriverente posandosi sul cappotto e tra i capelli.
Quanto sono lunghi 250 metri?
Stasera sono un soffio di vento. Stamattina sono stati lunghi e di sudore. Stasera 250 metri mi separano da casa. Stamattina 250 metri mi hanno separato dall'essere un runner.
Mi mancano 250 metri, poco più di 60 secondi, una manciata di passi. Mi mancano 250 metri per scendere sotto i 40' sui 10.000.
Ci arriverò, mi stanno aspettando.
Claudio Feliziani