Prima, perché non sarà l’ultima. Non sono mai stata una “sportiva” e tendenzialmente sono molto pigra eppure, chissà perché, chissà come, da quando ho iniziato, faccio cose per me improbabili, pur di correre, allenarmi, gareggiare.
Dopo due infortuni (2018 e 2020) che mi hanno tenuta ferma un bel po’ e si sono strascinati, dopo i riposi forzati dovuti ai picchi pandemici, mi sono messa in testa di correre i 42, 195 km.
I motivi sono vari, non un ultimo la tremenda situazione che il pianeta terra sta vivendo e che fa pensare più che mai al “Carpe Diem” e a quanto sia fortunata ad avere come preoccupazione, quella di correre una maratona.
La preparazione è iniziata a dicembre. So che la Regina va rispettata. C’è chi riesce a onorarla anche senza una lunga preparazione. Io no. Inizio con un programma bene preciso strutturato dal mio allenatore Francesco Guerra; un regime alimentare finalizzato preparato e monitorato da Francesca Marra; sedute di terapia cicliche da Giuseppe Minici e tanta costanza.
La preparazione, a una settimana dalla gara, mi è apparsa come il periodo più difficile ed ero contenta di essere riuscita ad affrontarla.
La mattina del 27: stato di trance. Mi sono concentrata su ogni singolo gesto (prendi il pettorale; prendi il miele; prendi i gel; prendi il parmigiano…) su ogni singola azione che dovevo compiere (prendi la macchina; parcheggia in quella strada; fai la colazione dell’ora prima; scendi dalla macchina; ricordati di chiudere la macchina…). Il percorso parcheggio – griglia, è servito come riscaldamento. Arrivare in prossimità della partenza poco tempo prima dello start è stato un bene. Distratta dallo spettacolo che mi circondava sono partita quasi senza rendermene conto. Incredibilmente, nonostante l’andatura da lumaca anziana, i km mi sono passati con rapidità. L’idea era fare 8x5000+2 fermandomi ai ristori per bere. Ho puntato i pacers delle 5he30 e non li ho persi di vista fino a che, senza rendermene conto, li ho superati e ho cercato almeno, di mantenere questo vantaggio. Dovevo solo finire la gara, nessuna velleità cronometrica, guardavo il polso solo per prendere i gel ogni 50’ come provato in allenamento. Sapevo che intorno al 20° ci sarebbero stati i miei genitori lungo il percorso e questo mi ha aiutato nonostante qualche crampetto al 18esimo.
Di incontri, in realtà ne avrei fatti tanti, inaspettati. Già intorno al 4°km mi hanno affiancato e superato alcuni amici che mi hanno salutato con entusiasmo, ma a piazza della Libertà, dopo doveroso omaggio, la prima epifania. Mi sento chiamare e vedo Claudio che mi incita. Le gambe girano di più. All’incrocio tra viale delle Milizie e Viale della Giuliana, il mio Presidente con le vele della squadra e i miei compagni: Roberto, Ineke ed Espedita. Belli come il sole, meravigliosi ad aspettarmi per così tanto tempo. Entusiasmo alle stelle, grida, sorrisi, incitamento. Amore vero e le gambe vanno. A piazza Mazzini, eccoli! I miei genitori, attrezzati di sgabello… ho sentito il nodo alla gola e ho capito che andava bene così, lenta, ma inesorabile, l’avrei finita. Ma le sorprese non erano finite. Ai ristori di Viale Tiziano e di Lungotevere Flaminio (Km32 e km35 circa) Mauro, Concetto e Michele. Mi danno acqua, ma soprattutto mi danno tanta forza. Penso: ecco la differenza nel far parte di una squadra, ecco la differenza nel far parte di questa squadra: la mia Lazio Olimpia. Sulla maglia, nel cuore, nella testa e sulle gambe. Sono con me, come lo sono stati tutti i compagni che mi hanno scritto prima e dopo dimostrando affetto vero.
Una maratona è veramente una gara diversa da tutte le altre. Anche se tra gli ultimi, non si è mai soli. Lungo il percorso i passanti fanno il tifo e in pochi imprecano per la chiusura delle strade. Mentre corri, senti che devi controllare tutto. Ad ogni minimo segnale (milza, polpacci, pancia, testa…) devi reagire, trovare una strategia. E poi… che belli i musicisti, le majorette, la coppia di francesi che chiede conferma di fronte allo stadio Olimpico se quello sia lo stadio dove gioca la Roma e si sorbiscono lo spiegone che quello è lo stadio della SS. Lazio concesso a domeniche alternate alla Roma; il signore di Testaccio che vedendo la maglia mi chiede: “Argentina?” e alla mia risposta: “Lazio”, ci rimane male… molto male.
Ma ogni incoraggiamento, ogni frase, ogni Daje, Forza, Bravi… mi hanno portata fino a Piazza Venezia e Via dei Fori Imperiali dove ho pensato: “Ma veramente è finita? Ma veramente ci sono riuscita?”
Dopo… solo singhiozzoni, la medaglia tenuta al collo e la mantellina d’oro che mi sembrava il vello degli Argonauti.
Il percorso di ritorno alla macchina, utilissimo come defaticamento, mi ha riservato un’altra grande sorpresa: l’incontro con Roberto Di Sante. Autore di “Dall’inferno a Central Park” conosciuto in occasione della Cortina-Dobbiaco 2018, colui che così bene ha descritto gli effetti mentalmente benefici della corsa. È stato un segno del cielo, proprio dopo la prima maratona, corsa e finita, alla faccia di chi mi ha tolto tanto.
Non vedo l’ora di fare la prossima e, ovviamente, con questa medaglia ci vado anche a dormire.
Viridiana Rotondi