Amo Amburgo, è la mia seconda casa.

Oggi è anche più bella del solito: non sono abituato a vederla la domenica mattina presto, ancora addormentata. Il sole, spesso illustre assente, stamattina è sfrontato e scalda più del dovuto già alle 7.30. Il numero dei pazzoidi che hanno deciso di correre aumenta nei vagoni mano a mano che la metropolitana procede verso la stazione di St. Pauli; c'è allegria. I teutonici parlano e scherzano facendosi grasse risate. Peccato che non capisca una beata.

Ma comunque amo Amburgo. Arrivo a St. Pauli e compio tutti i miei riti propiziatori: foto sotto agli striscioni di partenza e arrivo, caffè, vasellina dapertutto e spillaggio del pettorale. Mi avvio verso le griglie sulle note di canzoni ritmate trasmesse a volume folle. Poco prima dello start un Josè Carreras locale canta l'inno nazionale e, subito dopo, il borgomastro della città sanziona l'avvio della gara agitando in aria un paio di campanacci bovini.

Nonostante questa leggera caduta di stile, continuo ad amare l'aristocratica Amburgo.

Partiamo rilassati e ci avviamo verso la Reeperbahn, tradizionalmente conosciuta per tutt'altri motivi, contenuti da due ali di folla plaudente. Il sole da tiepido si è trasformato in caldo. La gente sorride, si sbraccia davanti alle telecamere della televisione locale che riprende in diretta la corsa e, come nella migliore tradizione di tutti gli eventi di questo tipo, i corridori battono il cinque con i bimbi assiepati a bordo via.

Oggi ho deciso di non farlo per essere più concentrato, ma non è che per questo abbia smesso di amare Amburgo.

Procediamo sui verdi viali della città anseatica, costeggiando l'Alster e l'Elba. Il cielo è limpido, gli spettatori continuano ad incitare incessantemente e le gambe vanno che è un piacere. Altona, Altstadt, St. Georg, Hohenfelde, Barbek sud: i ridenti quartieri si susseguono uno via l'altro offrendo la loro ospitalità ai gagliardi podisti. Passo alla mezza perfettamente in linea con i tempi che mi sono prefissato.

Tutto sembra perfetto ed una volta di più rinnovo il mio amore per Amburgo. In effetti ora il caldo sole comincia leggermente a scartavetrare gli zebedei.

Forse ho bevuto un po' troppo e lo stomaco non ne è particolarmente felice. Le gambe, a parità di sforzo, ci mettono di più a percorrere un km, il pubblico tende ad essere un po' troppo rumoroso in questo punto del percorso e si assiepa un po' troppo in mezzo alla carreggiata, il che aumenta il rischio di inciampare. Intorno ai punti di ristoro ci sono un po' troppi bicchieri di plastica usati per terra, il che aumenta il rischio di scivolare. Le gambe cominciano a fare i soliti capricci. Sono leggermente preoccupato.

Siamo arrivati al 30mo km e Amburgo comincia a starmi lievemente sulle palle. Arriviamo nei quartieri di Winterhude, Ohldorf, Alsterdorf. Places I call home: dove vivo durante la settimana, dove guido per andare la mattina in ufficio, dove faccio normalmente la spesa. Forse il conforto dei luoghi conosciuti mi aiuterà a ritrovare il ritmo. Manco per niente. Comincio a camminicchiare per assecondare gli ululati dei quadricipiti. Cominciano le salitelle, il sole si accanisce sulla mia tenera epidermide e tutto precipita. Il tempo preventivato è andato a farsi benedire. Punto alla sopravvivenza.

Amburgo assume sinistramente le fattezze di una città del menga. Ingurgito uno schifosissimo gel energizzante, bevo intrugli carbodaitratici e ricomincio a corricchiare. All'improvviso mi metto a ridere: ma davvero l'umore di una giornata di festa può essere influenzato dal mancato arrivo di una performance? Correre è un divertimento e tale deve restare. Continuo ad alternare corsetta e camminata svelta - d'altronde mancano meno di cinque km - ma questa volta sorrido e saluto calorosamente tutte le persone che mi incitano.

Un signore sulla sessantina urla "forza Lazio Rom" dopo aver letto il nome della Prima Squadra della Capitale fieramente stampato sulla mia maglietta. Gli ultimi due km, in salita, me li mangio ('nsomma) e arrivo braccia al cielo secondo le sacre regole del maratoneta. Ululo ad un paio di tedeschi che tagliano il traguardo con me e loro mi ululano di rimando (erano ululati di gioia).

Quanto sei bella Amburgo, quanno c'è er sole.....

Mi medagliano ma non mi danno il classico domopack; d'altro canto il sole picchia come un fabbro e sarebbe un tantinello fuori luogo. Mi stravacco sulla transenna vicino al posto di pronto soccorso, sorseggiando un paio di birre analcoliche. Sembra di essere in una puntata di E.R.: ogni due minuti passano paramedici di corsa spingendo lettighe con sventurati corridori in male arnese (il caldo è davvero inusuale). Socializzo con un paio di tedeschi parlando della corsa, di Roma e di Colonia. Subito dopo incontro tre italiani che mi accolgono con un paio di bestemmie conviviali, mi apostrofano con un forza rioma dopo aver saputo la mia città di origine (nonostante avessi in chiara evidenza sulla canotta il nome della nostra Squadra) e provano a correre appresso ad una tedesca popputa ma brutta. Italiani, brava gente.

Scendo le scale della metropolitana con leggerezza, tutto sommato ho chiuso sotto le 4 ore, e mi rendo conto che non ho mai smesso e mai smetterò di amare Amburgo, la mia seconda casa.