Non so perchè ma ogni volta che penso alla capitale della Svezia mi viene in mente l'indovinello che riguarda l'ipotetico nome della più famosa prostituta scandinava.... Il fatto poi di ritrovarmi con i faccioni di Borg e degli ABBA, che mi danno il benvenuto, schierati in pompa magna nei corridoi di uscita dell'aeroporto non favorisce il contenimento di un sardanico sorrisetto di scherno.

Stoccolma mi accoglie come al suo solito: Arlanda Express (dovevo arrivare a Stoccolma Stavska ma l'anima de li mejo mortacci de Ryanair!!!! Viva la Lufthansa), pioggerella sottile e vaporosa, canali, ponti e stradine.

Il fatto che sia venerdì sera mi permette di apprezzare fauna locale di diversa dimensione e foggia pronta per ubriacarsi indegnamente secondo i rigidi dettami della tradizione nordeuropea.

La mia azienda partecipa alla mezza di Stoccolma con un programma di charity e, saputo dell'iniziativa, ho prontamente aderito: una bella mezza maratona, piatta, con un centinaio di colleghi e colleghe (incluso il numero due mondiale del gruppo), ottimamente organizzata in una città piacevole da visitare è una tentazione difficile da resistere per un podista "addicted" come me. Si corre di sabato, alle 16, orario e giorno inusuali per le nostre abitudini. Passo la mattina visitando luoghi della città non ancora conosciuti, pranzo in modo parco in un asettico McDonald (come diavolo si fa ad alimentarsi 3 ore prima di una gara con il McChicken menu? Dovevo essere posseduto dallo spirito di Ronald). Appuntamento con la squadra all'albergo, foto di rito, ignobile lecchinaggio al numero due (mio dio come sei in formaaaaa, oggi sicuramente mi darai almeno dieci minutiiiiii, il tuo ultimo intervento in videoconferenza è stato di forte ispirazione per meeee...), foto di gruppo e poi via verso la zona di partenza.

Mi hanno relegato nell'ultima griglia, quella che parte alle 16.30, in quanto la collega che ha proceduto all'iscrizione non ha comunicato il mio tempo. In un impeto di follia comincio a cercare i pacer dell'ora e trenta per cercare di accodarmi. Ce ne sono due e sono entrambi nelle prime due griglie. Non ci sono controlli ai varchi e mi infilo molto italianamente nel gruppo che parte alle 16.05. Mi francobollo al pacer tanto che egli comincia a guardarmi con malcelato sospetto... Partiamo in una ventina intorno a questo esile giovanotto svedese dalla faccia timida. I primi cinque chilometri mi fanno subito capire che di piatto questa mezza maratona ha ben poco. Saliscendi non particolarmente impegnativi ma spezzaritmo si succedono con una certa regolarità. C'è molto pubblico ai lati della strada, più di quanto me ne aspettassi e sono anche particolarmente rumorosi. Il tempo è ideale: 15 gradi, coperto, assenza di umidità e vento. Seguirò il pacer: finchè ce la farò, finchè non stramazzo cercherò di stargli attaccato. Il mio personale di 1h33m33s è li, immobile a sfidarmi. Tutti quei tre stridono come un'unghia su di una lavagna intonsa.

Mezza mezza maratona: il ritmo tiene e da venti siamo passati ad una decina di tallonatori del pacer. Ce n'è uno che odio: è un pennellone che avrà al massimo 25 anni che corre caracollando a destra e sinistra. Continua a venirmi addosso con scandinava efficienza regolarità e metodo, mi passa davanti, di dietro e di fianco senza trovare una sua dimensione. Meno male che al 16mo scoppia come un rauto a capodanno e me lo levo dagli zebedei.

Passiamo al 15mo chilometro in una zona della città molto suggestiva ma con passaggi stretti, molti passanti che intralciano la via e molti corridori lenti che arrancano sbuffando. Il pacer cambia direzione come una gazzella inseguita da un coguaro e faccio fatica a stargli dietro. Ho paura di non farcela ma finalmente i cambi di ritmo e direzione finiscono e ricominciamo a correre ad andature costanti. Al 17mo rimaniamo in tre: io, il pacer ed un altro giovanotto dalle gambe magre ed il volto scavato, carta d'identità di chi della corsa ha fatto più di un hobby sporadico. Il pacer ci guarda e ci invita ad accelerare, vede dalla nostra faccia che ancora ne abbiamo e vuole sollecitarci. Gli chiedo quante salite mancano e quando sento che tra il 17mo ed il 19mo ce ne sono due abbastanza impegnative decido di rimanere con lui. L'altro parte e prende una trentina di metri; rimaniamo io ed il pacer fissi sui nostri 4'15”.

La salita del 19mo la faccio guardandomi le scarpe, non è particolarmente lunga ma la pendenza non è così esigua ed ho il terrore di rallentare troppo. Come scavalliamo il pacer mi molla un paio di pacche sul braccio e comincia ad urlare: "Go, go, don't wait for me. You can make it". Gli credo e accelero, anche perchè c'è una discesetta che infonde una certa fiducia circa le mie possibilità. Supero, supero, supero. Passo il ventesimo con le ali ai piedi, incontro un lazialotto della Lazio Atletica e lo invito ad attaccarsi a me. Continuo a superare, affronto l'ultima blanda salitella prima dell'arrivo con eleganza e leggiadria e mi butto verso l'arrivo mulinando le gambe in falcate ampie ed armoniose... ('nsomma...).

Guardo il cronometro mentre passo sotto la linea di arrivo: 1h28m57s (poi corretto con l'ufficiale 1h28m52s). Ululo di gioia. Entro in un territorio che per me era impensabile solamente quattro anni fa: poco meno di due ore (1h58m e svariati secondi) alla mia prima Roma-Ostia, quella del 2006. I tre scompaiono magicamente e lo stridio delle unghie cessa.

Seguo il flusso, mi abbevero, mi cambio e me ne torno felicemente in albergo fiancheggiando a ritroso il percorso dell'ultimo chilometro e mezzo, sostenendo ed incitando i corridori.

Sono il primo della mia azienda (sempre scarso rimango....) ma cerco di nasconderlo al numero due per evitare sgradevoli ritorsioni (Feliziani, abbiamo una bellissima opportunità per lei in Iraq...). A cena brindiamo, ridiamo e scherziamo e ci scambiamo esperienze di gara e risultati. Cosa sarebbe una gara senza questi momenti?

Claudio Feliziani