Il nuovo capitolo delle interviste di Maurizio Mazzurco.

La nostra Paola Impedovo e ci racconta la sua prima maratona.

Incontriamo Paola Impedovo dopo la sua prima maratona.

Circa un anno fa, ti ho domandato quali fossero i tuoi prossimi obiettivi sportivi, un sogno realizzato o da realizzare. Hai risposto così.

Non ho mai corso la maratona. La corse persino Filippide!!!! Non sarà l’obiettivo a breve termine, ma sarà un obiettivo importante. Anche io, come altri raccontano, vorrei vivere l’emozione, la soddisfazione, il brivido, di concludere l’ardua impresa. A proposito…non correrò con l’armatura e non riporterò alcun messaggio!!

A quanto pare, i tempi erano maturi. Quando e come hai preso la decisione di correre la prima maratona e iniziare la preparazione?

Ero pronta e curiosa… Tutti mi dicevano di doverla correre. Le emozioni suscitate dalla maratona sono uniche, bisogna viverle, dicevano. Riuscire a concludere tale manifestazione è così appagante che la fatica sofferta viene superata e sconfitta. Bene, mi convinco e mi cimento.

Perché proprio a Firenze?

Io e il mio amico Paolo abbiamo optato per Firenze direi casualmente. Cercavamo una competizione autunnale, che si svolgesse nei mesi di ottobre/novembre, poiché nei mesi successivi avrebbe mortificato e contrastato i benefici di allenamenti più veloci della pista.

Alla luce dei fatti, come consigliato da Mario Vaiani e con cui concordo, avremmo dovuto scegliere una competizione più tranquilla, con pochi atleti, senza lunghe code di attesa nelle griglie, dove forse saremmo stati più protagonisti invece che solo spettatori.

Così parlavi a suo tempo del tuo allenatore e del tuo rapporto con lui.

Questa domanda mi fa sorridere. Ho una grande allenatrice e il rapporto è ottimo (ovviamente è anche molto umile!). La conosco fin da quando sono nata e lei conosce tutti i miei limiti e le mie possibilità. Nonostante questo, è molto intransigente e non mi permette di trovare scuse. Insomma… me la canto e me la suono.

Anche per la maratona ti ha seguito sempre questa allenatrice molto speciale?

Sì, stessa allenatrice.

Ti sei allenata da sola? Quante volte a settimana? Con quale programma? Ti è pesato?

Presa la decisione di correre la maratona, poiché novità nella mia carriera sportiva, ho cercato di approfondirne il fenomeno, così diffuso tra professionisti e profani, ma ricco di strategie e metodi di allenamento in continua evoluzione. Tante erano le sfaccettature da considerare e questo già mi intimoriva, non fosse altro per il tempo da dedicare allo studio piuttosto che all’applicazione.

Ho condiviso l’obiettivo “Maratona” con il mio amico Paolo che ringrazio per il sostegno, la fiducia, lo sprone continuo. Nel tempo costantemente ha creduto in me, elogiandomi ed esaltandomi forse anche in maniera smisurata…Tutto ciò mi ha indotto a superare le difficoltà emerse con risolutezza e determinazione.

Tuttavia, benché fossimo in due - stesso programma di allenamento e unico obiettivo - i diversi ritmi di lavoro ci hanno costretto a vivere l’esperienza in estrema solitudine. Ti accorgi che non è facile andare avanti. Sfumati e indistinti si presentano scoraggiamento, esitazione, perplessità.

Ma poi ti rianimi... C’è un lavoro anche mentale dietro, che non è circoscritto alla mera prestazione del momento, ma è un lavoro costante e globale, che incide sul successo e sulla affermazione.

Inizialmente mi chiedevo se tre mesi di allenamento specifico fossero sufficienti per correre una maratona in maniera rispettabile. Tuttavia, mi ero programmata quel tempo, così ho cominciato.

Il mio primo lungo di 10 km fa un po' sorridere… è così che dovevo iniziare, venendo da una stagione di gare in pista più corte e veloci, in cui ho puntato più sulla qualità che sulla quantità.

Inoltre, dovevo prestare attenzione anche alla preparazione per i campionati europei, (circa due mesi prima rispetto alla maratona), per cui non potevo tralasciare lavori più brevi e anche intensi.

Il programma di allenamento era dunque molto variegato e non puntava in maniera esclusiva alla maratona. Oggi posso affermare che avrei dovuto svolgere lavori quantitativamente più rilevanti, al fine di gestire l’ultima parte di gara senza eccessivi rallentamenti.

In ogni caso il programma svolto non mi è pesato per nulla. Anzi i ritmi moderati hanno reso l’allenamento sopportabile, gestibile e alla portata fisica e mentale.

Che alimentazione hai seguito?

Tutti noi abbiamo sentito parlare del “muro” che il maratoneta incontra alla soglia del 34°-35° Km, e che non gli permette di continuare la gara con lo stesso ritmo con cui stava viaggiando fino a quel momento. Tutto ciò è dovuto alla deplezione del glicogeno muscolare ed epatico, terminato il quale il maratoneta prova sensazioni di irrigidimento fisico, crampi, fatica strenua, con conseguente perdita di fluidità nella corsa. E di tempo.

Al fine di ritardare questo inopportuno incontro ho provato a svolgere i lavori di “lungo e lento” con poche riserve glucidiche nell’organismo per adattarlo alla degradazione dei grassi.

In tutti gli altri giorni la dieta è sempre stata equilibrata, con una predilezione per i carboidrati, in particolare nell’ultima settimana prima della gara, facendo molta attenzione all’idratazione e all’assunzione di sali minerali e integratori.

Quali sono state le sensazioni durante la preparazione, e negli ultimi giorni? Racconta il giorno della maratona, la gara, le tue sensazioni. Hai fatto incontri particolari?

L’emozione principale che mi ha accompagnato per tutta la preparazione e fino alla gara non era ansia. Ma curiosità. Volevo capire quanta resistenza ci fosse nelle gambe e nel mio cuore.

Anche la perplessità era abbondante. Il mio “lunghissimo” di 34 km, 3 settimane prima della gara, ha ucciso i miei polpacci e la mia mente. Per ovvi motivi non potevo ripetere quel lavoro, con la consapevolezza che anche in gara, all’approssimarsi di quel km, non sarei stata in grado di proseguire.

In ogni caso ero eccitata e positiva benché malessere generale e influenza mi abbiano costretto a fermare e a dormire poco per tutta la settimana che mi separava dalla partenza.

Finalmente, imbottita di vestiti da gettare lungo la strada, attendevo lo sparo nella griglia assegnata…Pronta e curiosa. Sì, continuo a dirlo, fedele alle mie sensazioni e al desiderio di riuscire.

Volevo sentire la gioia e l’ebbrezza di chi già l’aveva corsa e che mi aveva consigliato di vivere questa eccitante e appagante esperienza. Ma ahimè! dentro me si è scatenato un temporale di dolore e fatica, nella solitudine delle ore che sembravano eterne.

Ho cominciato e poi finito questo viaggio in solitudine, come un bambino che per la prima volta vive il suo gioco, alla ricerca di comfort interiori, con lo sguardo sempre attento, vigile, partecipe e commosso.

Questo ho vissuto…Nel lungo treno di 8000 atleti rimani solo. Ogni km è diverso dall’altro, non pianificabile. In questa competizione, sconfinata e imprevedibile, ingestibile, i bisogni e le esigenze hanno mille sfaccettature. Il ritmo varia in continuazione: bere, mangiare, scartare i gel, osservare. Anche i bisogni fisiologici contrastano il tuo illusorio e ambito equilibrio. Inoltre, in questo quadro di sogno e seducente fascino, la città di Firenze confonde e smarrisce. Quanto è bella, orgogliosa e maestosa, seducente! Ti ipnotizza, con il suo Duomo imponente, i colorati ponti sul “bel fiume d’Arno” che accompagna i tuoi passi.  

È vero: le emozioni che scorrono durante la maratona sono infinite, perché chiacchieri molto con te stesso, credendo di non farcela ma intento in ogni caso ad arrivare. Tanti sono gli stimoli esterni, ma il protagonista è il tuo corpo.  Impari ad ascoltarlo percependo le sue criticità, in completa sintonia e a disposizione delle sue esigenze. Lo senti attraverso il respiro, sempre più rigido, contratto. Il passo si fa, via via, radente e claudicante. Ed ecco i crampi, la fatica, il dolore… e allora ti guardi dentro, osservi te stesso come non mai, i tuoi limiti e il tuo orgoglio.

 I crampi, nei polpacci e nel cuore, rendono disagevole il proseguimento del viaggio. Deluso e timoroso ti fermi, perso nel dolore dei passi… (già…è arrivato il fatidico km 34), poi riparti…avvolto sempre più da contrastanti riflessioni di sconforto ed esaltazione.

8 km ancora…interminabili, i più duri della mia carriera sportiva. “Ce la devi fare!” “Resisti!” sussurravo alle mie orecchie, anzi lo urlavo! Sentivo le lacrime come ferite all’interno del corpo.

E in questo susseguirsi di sensazioni estreme, finalmente le urla della folla mi hanno accompagnato al traguardo. Evviva il traguardo!!!!

Cosa mi è rimasto? Sicuramente la percezione del mio volto nella smorfia di dolore, contratto nell’affanno. Ma anche il desiderio di fare meglio, consapevole che risolutezza, impegno e tenacia saranno complici per il raggiungimento del prossimo obiettivo.

Rimane anche l’indelebile opinione sulla corsa e la sua avvenenza. Modesti amatori che siamo o formidabili talenti, tutti noi podisti troviamo nella corsa la decorazione della nostra vita, la dimensione estetica che ci appaga, ci esalta, aiutandoci a progettare il nostro futuro. Come direbbe un bambino: “la corsa è bella perché mi piace”!

Giulia Agresta nella sua intervista per il nostro sito ha definito la maratona un percorso di vita, e anch’io ho usato gli stessi termini in una mia poesia. Che ne dici?

Concordo pienamente. La maratona è un viaggio, lungo, lento e anche scomodo. Tuttavia, ti accompagna, un passo alla volta, intersecando dubbi ed ostacoli, energia ed entusiasmo, verso il superamento dell’obiettivo. È un viaggio introspettivo, in grado di restituire la nostra immagine. Tempo e spazio mettono in discussione potenzialità e capacità accarezzando i nostri limiti. Circondati dal rumore, è un viaggio nel silenzio in cui si impara ad ascoltarci per operare consapevoli cambiamenti.

Un viaggio introspettivo, lungo e lento. Sì, in solitudine. Ma sicuramente ci sarà un altro treno.