Diciassettesimo capitolo delle interviste di Maurizio Mazzurco.
La protagonista di oggi è Espedita Rechichi.
Cominciamo dalla fine: il 19 marzo scorso hai corso la Maratona di Roma. Chiudere questa gara ha avuto per te un significato particolare.
Ho sempre molto amato la maratona; per me è la gara regina dell’atletica. Penso che più che una gara sia un vero e proprio viaggio dentro noi stessi, che ci mette in connessione con la nostra parte più intima. Purtroppo, a causa di problemi fisici, non ne ho fatte molte, solo tre. L’anno scorso incitavo Viridiana e non pensavo di poter progettare impegni su una distanza così lunga. Eppure, lei mi ha detto: “Vedrai, l’anno prossimo la correremo insieme”. Viri la conoscevo poco, ma ho sentito subito una grande empatia. Mi è bastato vederla poche volte per capire che era una persona davvero speciale, il suo modo di porgersi, di darsi all’altro era autentico, genuino. Mi aveva colpito che lei stava bene quando gli altri stavano bene. Poi ho letto le sue sensazioni sull’esperienza della maratona (qui) e mi sono completamente ritrovata. Avrei potuto essere io, le sue parole corrispondevano pienamente a come sento io la gara, a che cos’è per me la corsa: passione, gioia, solidarietà. Ho sentito una grande affinità e il desiderio di condividere qualcosa che vivevamo allo stesso modo. Perciò, ci eravamo promesse che quest’anno avremmo corso la maratona insieme. Viridiana fisicamente non è più fra noi, così ho deciso che avrei fatto la maratona anche per lei. Ho chiesto al mio allenatore Maurizio Sperati di preparare un piano in cui la quantità era ridotta all’osso. Maurizio voleva farmi allenare di più per non farmi soffrire in gara ma, non avendo particolari velleità di tempo, l’ho convinto a fare questo esperimento. Sapevo che per una buona preparazione si deve correre minimo quattro-cinque volte la settimana, ma temevo che il mio fisico non fosse in grado di sopportare tanto carico, temevo gli infortuni che mi sono capitati molte altre volte in fase di preparazione. Perciò non ho seguito l’allenamento canonico ma, pur facendo tutti i lunghi previsti, ho corso solo tre volte la settimana. In gara immaginavo che avrei risentito della scarsa preparazione e in realtà è successo, ho sofferto già da molto prima del trentesimo, ma ho stretto i denti e l’ho chiusa. Un tempo alto, ma accettabile. Devo molto a Maurizio che è stato il mio angelo custode e mi ha accompagnato per tanti km. In più non ho avuto gli esiti che spesso accompagnano il post maratona, ho già ripreso a correre e non ho dolori. Così ho mantenuto la promessa e questa maratona l’ho corsa anche per Viridiana, è come se avesse partecipato anche lei. Mentre correvo la sentivo molto vicina. Alla fine, ho ritirato anche la sua medaglia, che vorrei consegnare ai suoi familiari.
Presentati brevemente. Quando e come hai iniziato a correre?
In gioventù ho praticato altri sport, in particolare pallacanestro e tennis. Alla corsa mi sono avvicinata tardi, quasi a 40 anni, ma forse avevo già il germe di questa passione. La corsa amatoriale è uno sport più legato all’età matura. Un mio collega di studio che andava al Rosi mi ha proposto di venire a correre al campo. Così il Paolo Rosi, i Marmi, la Farnesina sono diventati il mio mondo, dove dimentico tutto. Là, in abbigliamento sportivo, siamo tutti uguali. La corsa è democratica, e insieme non ti dà e non ti toglie, quello che ottieni va conquistato con l’impegno e la costanza. Non ci si inventa niente, è uno sport veramente meritocratico.
Come sei arrivata alla Lazio Olimpia Runners Team?
Al momento di tesserarmi, il mio allenatore dell’epoca mi ha consigliato l’Olimpia 2004. “Non c’è per te squadra migliore di questa, sono pochi ma buoni”. In effetti è diventata per me come una seconda famiglia, che adesso si è allargata ai nuovi amici della Lazio.
Dove ti alleni? Quante volte a settimana?
Al campo, in genere tre volte la settimana. Il recupero da fermo fa parte dell’allenamento, in particolare da una certa età.
Come hai superato gli infortuni?
L’amica Anna Patelli mi ha aiutato molto con la fisioterapia a recuperare dai miei guai fisici. Ha cominciato a curarmi l’anno scorso. Avevo una gran voglia di tornare a correre, dopo un lungo infortunio che è durato quasi due anni (attraversando il periodo di pandemia), ma avevo il trocantere infiammato e dopo 5 km cominciavo a vedere le stelle. Grazie a un lungo percorso che ho seguito con lei, sono riuscita a fare la mezza di Lisbona senza soffrire più di tanto; il tempo interessa poco.
Come ha contribuito lo sport al tuo benessere? Cosa ti ha insegnato la corsa?
La corsa regala benessere, se fatta con criterio. L’esperienza della corsa poi si applica a tutti i momenti della vita.
Quali sono i risultati sportivi che ricordi con più piacere? La gara più difficile, quella dove hai sperimentato le emozioni più belle? Il successo che più ti ha gratificato?
Ho in particolare due ricordi, uno serio, uno piuttosto comico. Ho corso la prima maratona in un periodo molto difficile per la mia vita personale. Avevo subito tante traversie e stavo col morale sottoterra. Mi sono detta: vado a fare la maratona. L’ho corsa praticamente senza preparazione, ma raggiungere quel traguardo, nonostante un tempo molto alto, è stato per me come una rinascita. Lo ricordo ancora oggi come uno dei giorni più belli della mia vita. Il momento comico invece è la Corrinotte a Locri, il mio paese di origine, dove sono arrivata terzultima in mezzo a tanti atleti forti. Mentre al bar mangiavo un gelato per rifocillarmi, sono venuti a chiamarmi perché dovevo ritirare un premio, ero arrivata terza di categoria su tre. Mai me lo sarei aspettato. Sono salita sul podio col gelato e mi hanno dato una coppa enorme, che conservo ancora.
Chi ti piace ricordare fra le persone che hai conosciuto praticando lo sport?
Tutte le persone che ho conosciuto al campo, in particolare gli amici di Olimpia e ora anche della Lazio, come ho detto sono la mia seconda famiglia. Ma più di tutti ricordo Giulianetto, Giuliano Pellegrino, con il quale avevo una sintonia particolare. Correvamo spesso insieme. Durante il riscaldamento era tutto un ridere e scherzare, poi quando iniziavano i “lavori” diventava serissimo e competitivo. Mi diceva sempre “in gara non si guarda in faccia nessuno”. Era un modo per insegnarmi quella grinta che nel nostro sport spesso aiuta.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi sportivi? Un sogno realizzato o da realizzare?
La nostra Paola Impedovo mi ha proposto di provare qualche gara in pista, perché secondo lei ho il fisico adatto. Un sogno da realizzare è correre la Maratona di New York.
A proposito di sogni irrealizzabili, per me quello della vita sarebbe partecipare alle Olimpiadi, e magari vincere una medaglia. Se mi chiedessero: preferiresti vincere dieci milioni di euro o una medaglia olimpica? Non avrei dubbi. Ogni volta che vedo gli atleti salire sul podio delle Olimpiadi provo una grande invidia buona, per me è una delle massime realizzazioni dell’essere umano. Lo sport è una metafora della vita, e una medaglia olimpica è il coronamento di una vita sportiva.
Lo sportivo che preferisci e perché.
Ce ne sono tanti. Seguo molto il calcio. Carlitos Tevez, oltre ad essere un campione, è una persona che mi piace, conosco la sua storia. Ma amo ricordare tutti quelli che per praticare lo sport e raggiungere i loro obiettivi hanno dovuto fare sacrifici. Nell’atletica in questo periodo sto seguendo con particolare interesse Samuele Ceccarelli, mi sembra un grande talento con la testa sulle spalle. Speriamo ci possa dare tante soddisfazioni. Per non parlare di Marcell, lo vedo sempre al campo e gli voglio molto bene. È sempre gentile e disponibile, l’ho visto allenarsi con costanza e abnegazione e gli auguro di ritrovare la vittoria, dopo il secondo posto agli euroindoor sui 60 che non ha preso bene, anche se ha gratificato un altro azzurro. Marcell mi ha regalato emozioni incredibili. Ero al ristorante quando ha vinto i 100 metri alle Olimpiadi e ho pianto come una bambina.