Incontro Giulia Agresta alcuni giorni dopo la maratona di New York.
Per me era la terza maratona di NY, e ha avuto un sapore molto particolare. Andavo a NY soprattutto per stare con la famiglia. Là vivono mia sorella, i suoi figli e i nipoti, e poi i miei figli volevano rivedere NY. Ma il fatto più importante è che la mia figlia più grande aveva deciso di fare la sua prima maratona. Ha solo 26 anni, è stata da ragazza atleta di pentathlon moderno a livello internazionale, poi ha lasciato per studiare, infatti è diventata medico. Però ha sempre avuto l’obiettivo di fare questa maratona. Si è innamorata della maratona quando mi ha accompagna nel 2017 alla maratona di Chicago per oltre 20 Km e da allora aveva deciso di farla. Le abbiamo sempre detto che NY è la più bella, la più entusiasmante, piena di emozioni, e ha deciso di farla insieme al suo fidanzato. Così sono partita con loro.
Io mi sono preparata, ma non sapevo loro, rispetto a me, come l’avrebbero affrontata. Fisicamente e atleticamente sono giovani, forti e atletici …insomma stanno molto meglio, ma hanno avuto poco tempo per allenarsi, avendo iniziato da poco il lavoro in ospedale. Io ho più quantità, più allenamento ed esperienza.
È stato un po’ tutto da scoprire, c’erano tante circostanze particolari messe insieme. In vari punti del percorso qualcuno della famiglia ci aspettava, e c’era il fatto di correrla con loro. Non era una maratona da fare atleticamente, ma una maratona da godersela, e devo dire che mi ha entusiasmato. Abbiamo avuto la fortuna di condizioni atmosferiche ideali, non era né piovoso né freddissimo, il freddo giusto. Non mi ricordavo che ci fosse così tanta gente, sia a partecipare sia a vedere. Dal primo all’ultimo metro era un continuo scansare le persone, una cosa incredibile. Ad esempio, al tredicesimo km, che era il punto in cui avrei dovuto incontrare mia sorella e i miei nipoti, la gente stringeva sulla strada i corridori, a momenti non si riusciva a passare, quasi pericoloso però entusiasmante. Avevo la canottiera dell’Italia con scritto il mio nome, sono stata acclamata, incitata dall’inizio alla fine.
L’hai fatta tutta insieme a loro?
Sì, siamo stati insieme dall’inizio alla fine. Siamo partiti bene, forte, volevamo farla sotto le tre ore e trenta. Abbiamo tenuto un buon passo più o meno fino alla mezza, poi hanno cominciato a rallentare. Io mi sono sentita di stare con loro, supportandoli nel momento di crisi. Sono stati bravi, volevano finirla a tutti i costi e l’hanno gestita bene. Considerato il poco allenamento, non so come sono riusciti a farla. Sono arrivati in buona salute e soprattutto con la voglia di riprendere ad allenarsi, tanto è vero che vogliono rifarne già subito una accomagnandomi, ad esempio, a Tokyo, la maratona che mi manca delle Major (Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago e New York).
Ho fatto anche Roma, ma è il ricordo peggiore: era la prima, e poi l’ho trovata proprio difficile, tra gente che ti insulta e sampietrini. Invece NY è un’altra cosa. Il percorso è difficile, molto ondulato come quello di Roma, ma è tale il tifo delle persone, tale l’entusiasmo, che alla fine non te ne accorgi.
Vi siete anche allenati insieme?
Abbiamo fatto qualche lungo insieme e, per prepararci, la 30 di Ferrara. Lei l’ha vista e ha proposto di correrla insieme come preparazione, uno dei lunghi è stato quello ed è anche andato particolarmente bene, l’abbiamo fatto sotto i cinque, a 4’45”.
A volte l’allenamento va bene, e la maratona può andar male.
Perché poi sono solo 30. In gara a un certo momento hanno rallentato, non avevano più l’andatura dei primi km. Mia figlia ha cominciato ad alternare corsa e passo, non riusciva a correre lentamente come faceva il fidanzato, preferiva correre e poi aspettarlo camminando, ma questo ci ha permesso, perché stavo sempre con lei, di godermi per la prima volta la parte finale della maratona di NY. Non mi era mai capitato, perché l’ultima parte è quella in cui soffri di più; invece, questa volta me la sono proprio goduta, tutto il rientro sulla Quinta, il ritorno a Central Park, le persone che ti incitano, tutto lo spettacolo, i monumenti. Le altre due volte ero talmente presa dai miei dolori che non me ne sono resa conto.
Hai altro da raccontare, di quello che ti ha lasciato questa esperienza?
Due cose. La prima: nonostante il dispendio economico che per NY è elevato, è un’esperienza che ne vale la pena, senti il calore delle persone che vengono lì ad apprezzare il sacrificio che stai facendo, e poi ti fanno sentire unico.
Come mai a NY succede questo in modo particolare, c’è questa sintonia con lo spirito della maratona?
Questa particolare atmosfera, questa partecipazione umana, è un fatto molto interessante.
Non ti saprei rispondere. Forse è quella che ha più storia, più leggenda, sicuramente è anche molto sponsorizzata.
La seconda cosa?
La seconda, la più importante: a meno che tu non sia un atleta professionista, per noi, anche per chi è più molto più bravo di me, la maratona è un percorso di vita; da godere, con tutte le nostre sensazioni, con le persone che ami, con chi sta intorno.
Mi piace trovare una corrispondenza con la conclusione dei versi con i quali ricordo la mia prima maratona, e con tutto lo spirito della mia piccola raccolta di poesie “podistiche”, Correre ancora, presentato dal grande presidEnzo e dedicato alla memoria della nostra Viridiana: “La maratona / è una vita”.
La rifarei esattamente così, non cambierei nulla, né del percorso né prima della preparazione, fatta in parte anche da sola, perché avendo più tempo potevo allenarmi di più, e dovevo essere pronta se loro fossero stati in grado di andare forte fino alla fine.
Comunque, è andata bene. Sono molto soddisfatta, molto contenta. Queste esperienze possono essere uno sprone per i giovani; mia figlia forse è ancora troppo giovane per una maratona, però era una cosa che voleva fare; ne è uscita bene ed è molto felice del risultato e soprattutto ha molta voglia di continuare e di migliorarsi, e questo è determinante.